Aiuto ho scritto un libro! Guida pratica

Dall’autopubblicazione al self-publishing

Ciò che leggerete in questo articolo è il fulcro della tesina che presentai alla maturità, in un torrido giugno 2014, e che da allora ha stuzzicato l’idea alla base di questa rubrica.
Innanzitutto, perché distinguo fra autopubblicazione e self-publishing? Pur rappresentando la stessa parola e lo stesso concetto, ossia la pubblicazione di un libro a proprie spese e senza l’intermediazione di un editore, queste due parole sono distanti quanto le prime forme di editoria e quelle odierne. La differenza risiede nell’evoluzione che ha interessato i principali protagonisti della realizzazione materiale di un libro, del pubblico e dei metodi di diffusione e di pubblicizzazione.

Vediamo dunque questa evoluzione, in riferimento al mercato editoriale italiano e inglese (dovendo collegare almeno due materie all’esame).
In Italia, la prima industria culturale nacque nel XIX secolo in città quali Torino, Milano e Firenze. Le iniziative editoriali di tipo moderno erano organizzate in senso industriale, e videro alcune importanti novità: il distacco della figura dell’editore da quella del libraio-stampatore e il suo avvicinamento a quella dell’imprenditore; l’investimento, da parte di tale imprenditore, in macchine d’avanguardia (e.g. il torchio a vapore) e l’organizzazione di rapporti di tipo commerciale con il pubblico e gli scrittori; l’adeguamento delle nuove proposte alle esigenze di mercato (generi «di consumo» a Milano e «di riconoscimento» a Torino e Firenze).

In Inghilterra questo tipo di industria fece la sua prima comparsa nel XVIII secolo con nomi quali Richardson, Swift e Defoe; in particolare, si serviva di pubblicazioni in fascicoli (instalments) sulle riviste e dell’apertura delle prime biblioteche pubbliche. Era tuttavia un fenomeno limitato ai ceti più abbienti, disponibili di tempo libero. Fu con la crescita dei ceti medi, durante l’Età Vittoriana, che la lettura consumistica divenne un fenomeno consistente: i metodi di pubblicazione erano gli stessi, ma erano cambiati i gusti e, soprattutto, il potere del pubblico di decretare o meno il successo di un’opera.

È in questo panorama di massificazione e diffusione della cultura, in cui il pubblico acquisisce per la prima volta un certo potere decisionale, che si fa strada il fenomeno dell’autopubblicazione. Un autore respinto da un editore può ottenere la stampa e la diffusione della sua opera a pagamento, oppure può impiegare il proprio denaro presso uno stampatore. Insomma, già allora esisteva una bella differenza fra un EAP e un autore autopubblicato!

Fra gli autori italiani più celebri, alcuni iniziarono proprio autoproducendo le proprie opere, per esempio Verga e Svevo. All’estero ci imbattiamo in nomi quali Nietzsche, Wilde, Whitman, Joyce e Poe. Insomma, non proprio persone di cui adesso non si ricorda nessuno!

L’autopubblicazione può dunque vantare quasi due secoli di storia; quella del self-publishing invece è recentissima: l’uso di un termine anglofono vuole infatti sottolineare l’indissolubile legame con le nuove tecnologie. Tutto inizia con la nascita del Print On Demand all’inizio del XXI secolo; tramite i programmi di scrittura e digitalizzazione dei testi si è offerta a tutti la possibilità di produrre un dattiloscritto, poi una casella email e una stampante digitale hanno reso possibile la stampa a prezzi ridotti (almeno rispetto al passato) e infine la pubblicazione. Il self publishing rappresenta il passo successivo: la messa in vendita online della copia cartacea (e, più recentemente, di quella digitale) a opera di siti specializzati.

In tutto questo è mutata profondamente la figura e la concezione dello scrittore: da persona colta e discretamente abbiente, spesso e volentieri solitaria e dannata, oggi chiunque può fregiarsi del titolo di autore. Plurilaureato o dotato della sola licenza media, manager in carriera o disoccupato, è un figuro che ha perso qualsiasi aura di sacralità. Il fatto di dover conquistare il proprio pubblico con le unghie e con i denti non ha certamente aiutato a conservare il distacco dei tempi andati.

Allo stesso modo, la democratizzazione della cultura e la scomparsa dell’analfabetizzazione (stiamo sempre parlando di Italia e Inghilterra) ha ampliato enormemente il pubblico a cui sono rivolti i romanzi, autoprodotti e non. Di questo aspetto parleremo nel prossimo articolo, in particolare riferimento alla domanda che ci tormenta da diversi anni: perché leggiamo sempre meno e scriviamo sempre di più?
Le puntate precedenti invece sono consultabili al fondo di questa pagina.

Marta

6 pensieri su “Dall’autopubblicazione al self-publishing”

  1. la mia idea, o parte di quello che penso in merito, è semplice: credo che molti scrivano per “diventare famosi”. Credo anche che ci sia, forse, un’esigenza di acquisire individualità dando alla luce qualcosa che è solo nostro. Diciamo che è un mezzo per riguadagnare quello che la società di massa ha tolto e per inseguire l’ideale di uomo di successo.

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